IO

 

Mi chiamo Lorenzo Moriggi. Sono nato il 1° Luglio 1998 a Treviglio. Non so spiegare da dove abbia origine il mio nome, tutto quello che so è che “piaceva a mia madre”. Sono cresciuto in una villetta nella periferia di Pagazzano, il minuscolo paese in cui vivo. Fin da piccolo, i miei genitori hanno sempre fatto il possibile per rendermi felice. Figlio unico, ho avuto a disposizione tutto l’affetto possibile ed immaginabile che un bambino potesse ricevere. Già prima che iniziassi a camminare, la mia vita è stata praticamente immortalata in un numero imprecisato di fotografie che ancora conservo gelosamente e che ogni tanto mi diverto a riguardare. Ho scoperto i primi lati del mio carattere ancora prima di iniziare la scuola materna. Vivace, fin troppo, ma timido alla prima occasione. Non mi ponevo certo il problema di ciò che facevo. Ero un ragazzino, che tipo di preoccupazioni avrei dovuto avere? L’ingresso alle elementari ha iniziato a modificare la mia infanzia. Tutti quei volti nuovi, non paragonabili nemmeno al numero di quelli visti all’asilo, che ormai conoscevo a memoria. I primi litigi, le prime cotte, i momenti di rabbia “perché era colpa della maestra”, ma anche qui continuava a prevalere la spensieratezza. Non le consideravo nemmeno delle esperienze di vita, solo cose che accadevano perché accadevano. Fu in quegli anni che, complice il fatto che fosse la mia materia preferita, iniziò a nascere in me l’idea di diventare un professore di italiano. Volevo essere il migliore in ogni verifica e la maggior parte delle volte ci riuscivo. Il momento in cui iniziai a guardare me stesso sotto una luce diversa fu quando imparai ad andare in bicicletta. Imparai da solo, senza l’aiuto di nessuno. Vedevo molti dei miei compaesani con i loro genitori dietro che gli tenevano la sella, ma io non volevo. Mio padre e mia madre hanno tentato molte volte, ma alla fine l’ho spuntata io. Un pomeriggio, tornato da scuola, ho preso la bici e ho iniziato a girare per il paese, ripromettendomi che non sarei tornato a casa finché non fossi riuscito ad imparare. E così è stato. Fu in quel momento che capii che quello che era successo è stato frutto della mia forza di volontà, oltre che della mia testardaggine. Mi convinsi che a volte, per raggiungere un obiettivo, bisogna contare solo sulle proprie capacità. Alle scuole medie, la mia passione per l’italiano venne notata dai professori, che spesso si complimentavano per i temi che scrivevo e la mia insegnante di lettere mi consigliò di frequentare una scuola in qui potessi approfondire meglio ciò per cui ero portato. Se devo esser sincero, ancora oggi non so spiegare con certezza cosa mi portò ad iscrivermi alla scuola in cui sono tutt’ora. Non avevo neanche minimamente considerato l’ipotesi di diventare un grafico. Ho attraversato una fase, durante le elementari, in cui disegnavo di tutto e su qualsiasi cosa, ma era più che altro un passatempo in cui non vi vedevo nulla di più. Ero un lettore incallito da piccolo e ho persino scritto delle storie da me inventate, ma il mondo della grafica non mi ha mai sfiorato la mente. Quest’anno lo porterò a termine, su questo non ho dubbi, ma nel mio futuro stento a vedermi mettere in pratica ciò per cui mi diplomerò. Un altro evento che considero fondamentale per la mia maturazione è stata la prima vera esperienza lavorativa durante l’estate scorsa. Magazziniere per tre mesi. Lì ho provato di persona, seppur per breve tempo, cosa si intende per “mondo del lavoro”. Avere a che fare con persone sconosciute, rispettare ciò che ti viene ordinato, concentrarsi per commettere meno errori possibili e non intendo dire “non sbagliare mai”. Se fossi nella cucina di un ristorante e stessi asciugando un piatto e per qualsiasi motivo quel piatto dovesse cadere e rompersi, ciò che è successo è avvenuto mentre lavoravo invece di essere a braccia conserte. Imparare dagli sbagli è fondamentale in qualsiasi contesto, lavorativo e non. Fortifica l’autostima e contribuisce ad aumentare la propria consapevolezza di sé. In questo momento, in tutta verità, non ho ancora una chiara immagine di me tra qualche anno. Il pensiero se frequentare un’università, oppure fiondarmi direttamente alla ricerca di un impiego, sono dubbi che popolano la mia mente e ci resteranno fino alla fine della maturità. C’è da un lato l’ipotesi di ritirare fuori dal cassetto l’idea di diventar professore di lettere, dall’altro l’idea di specializzarsi in lingue straniere, prima fra tutte l’inglese, materia in cui ho scoperto dal primo anno essere quella in cui eccello, soprattutto per la facilità e la rapidità con cui imparo ciò che viene spiegato. Adesso come adesso, sono ancora troppo indeciso per poter affermare con certezza la persona che diventerò. Su una cosa però sono sicuro: la mia famiglia (che sarà anche abbastanza numerosa) avrà un padre che farà un mestiere in grado di soddisfare tutti i bisogni di cui necessiterà. Tutti i sacrifici che i miei genitori hanno fatto per garantirmi il futuro che ormai mi è alle porte, non andranno sprecati.